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Quando un Paese non accetta chi sei- Intervista a Giulio Mariotti, illustratore di Running Rainbows.

Giulio nasce e cresce a Perugia. Studia Arte a Venezia e gira l’Europa e il mondo prima di rientrare in Umbria. Ora lavora nella progettazione europea e collabora con varie realtà per portare avanti battaglie relative alle tematiche ambientali e ai diritti degli animali, della comunità LGBT e delle persone migranti. Lo incontro nel 2018 grazie a un progetto con l'Informagiovani di Perugia, e durante alcune esperienze di volontariato al suo fianco, ho avuto modo di conoscere il progetto Running Rainbows. Inutile dire che mi sono scattate molte domande, e ho voluto intervistarlo a riguardo :)


"Di cosa tratta Running Rainbows e come è nata l’idea progettuale?"

Tre anni fa ho conosciuto dei ragazzi del gruppo migranti di Omphalos LGBTI (una delle associazioni LGBT in Umbria), che mi hanno raccontato di com’erano arrivati in Italia, e perché. Ho pensato che fosse grave che non si parlasse di queste storie, che nessun* le conoscesse, e ho pensato che sarebbe stato utile, oltre che interessante, renderle fruibili attraverso un medium “leggero”, così che sempre più persone in Europa avessero gli strumenti per comprendere le varie e diverse ragioni che spingono alcune persone a lasciare i loro Paesi d’origine per cercare una vita migliore nel nostro continente.

Al momento il progetto è arrivato alla sua seconda storia, e le due storie già concluse sono a disposizione come mostre per chi le richieda. Sono già state esposte in eventi di sensibilizzazione, come la Giornata del Rifugiato 2019, la fiera “Fa’ La Cosa Giusta Umbria” sugli stili di vita sostenibili e la settimana UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) 2020, e anche in enoteche, negozi solidali e cinema in provincia di Perugia.

L’idea finale è di raccogliere le varie storie in un graphic novel, stiamo ancora cercando la casa editrice adatta, chiunque sia interessat* mi contatti pure!

"Cosa ti ha colpito di più sentendo le

storie dei/delle protagonisti/e?"

Il fatto che non le conosca nessuno. Ad oggi non esistono un prodotto culturale, un libro, un film di successo che raccontino la storia di una persona che abbia attraversato il Mediterraneo e che creino empatia, ma anche semplicemente informazione e comprensione a livello personale. Nei telegiornali, di migranti si parla solamente come numeri: “50 migranti sono sbarcati stamattina”. Ma quelle persone non sono solo numeri, e parlarne solo in quanto tali li rende, appunto, numeri. Vi ricorda qualcosa?

Aggiungici che “sbarco” è un termine militare (“sbarco in Normandia”), e la percezione generale è già delineata: non meravigliamoci che poi la gente crede che sia un’invasione, quando anche i telegiornali nazionali usano questi termini. Invece di sbarchi dobbiamo parlare di approdi, naufragi o salvataggi, che sono concetti più esatti e che tengono conto di cos’è successo realmente prima, invece che di presunte, e sbagliate, future intenzioni bellicose.

Nella rappresentazione delle persone migranti in generale, poi, quelle LGBT sono ancora più invisibilizzate, in parte perché è una minoranza nella minoranza, in parte perché molte di quelle stesse persone non hanno ancora fatto coming out né hanno intenzione di farlo.

"Qual è stata la storia che ha lasciato un maggior impatto?"

Più che una storia singola mi hanno colpito vari momenti che mi sono stati raccontati da persone diverse.

La felicità di un ragazzo nel vedere i delfini che saltavano fuori dall’acqua durante il viaggio in gommone dalla Libia all’Italia, nonostante fosse accalcato all’inverosimile insieme ad altre persone. tutte in bilico tra la vita e la morte se fossero cadutə in acqua, e nonostante uno dietro gli avesse pure appena vomitato sulla schiena. La violenza dei genitori nello scoprire il figlio a letto con un uomo.

I giornali locali che denunciano una ragazza lesbica dicendo che è stata “traviata dallo stile di vita occidentale” (quando ci sono testimonianze storiche che attestano che l’omo-lesbo-bi-trans-fobia nei paesi africani c’è arrivata col Cattolicesimo, dato che prima molte tribù e culture erano perfettamente a proprio agio con qualunque orientamento, identità ed espressione di genere).

"Come mai hai deciso di usare lo strumento dell’illustrazione per raccontare queste storie delicate?"

Ho studiato arte, ho già illustrato altre storie in passato, e nonostante non mi senta particolarmente bravo o originale, il disegno è “l’arma più appuntita che ho”, quindi a un certo punto ho deciso di mettere da parte le mie paranoie personali e di usare quel che so fare per sensibilizzare a questa tematica.

Inoltre c’è una motivazione molto importante per la quale l’illustrazione si presta particolarmente a questo progetto: spesso le persone migranti LGBT non se la sentono di raccontare la loro storia a viso aperto, perché oltre alla discriminazione razziale che le colpisce in Italia soffrono anche l'omo-bi-lesbo-transfobia delle loro comunità di origine, in cui quasi sempre vivono (oltre che chiaramente quella della società italiana). Il fumetto permette loro di raccontare la propria storia senza necessariamente fare coming out.

A questo si aggiungono altri vantaggi, veri e propri "superpoteri" tipici del fumetto come medium:

1) è considerato tutto sommato innocuo e inoffensivo e riesce quindi a trasmettere messaggi potenti trovando chi lo fruisce più permeabile;

2) è un mezzo "povero", sicuramente più della produzione di un film o di una web serie;

3) può attingere alla bellezza delle arti visive e della letteratura, e può rappresentare stati d'animo e astrazioni che sarebbe difficile comunicare solo attraverso le parole, o solo attraverso le immagini… o senza un budget per gli effetti speciali!


"Che effetti ha il progetto sui/sulle protagonisti/e dei racconti?"

Ad alcunə di loro ha permesso di sentirsi rappresentatə, ad altrə di fare attivismo in maniera sicura, ad altrə ancora di incontrare altre persone come loro: cerchiamo di organizzare eventi di presentazione del progetto anche per questo, perché possa raggiungere persone a cui non arriverebbe tramite internet o i social, e per far incontrare chi ha una storia simile a quella che raccontiamo.


"Ritieni che la tematica migrazioni e LGBT sia trattata in modo consistente nel territorio locale?"

A livello locale ci sono innumerevoli realtà e iniziative che lavorano per raccontare in maniera più accurata i fenomeni migratori in generale, ma purtroppo non possono competere per copertura e impatto con i media nazionali e internazionali (social media compresi) che ne distorcono la percezione. È quindi ancora più necessario continuare a farlo e trovare anche nuovi metodi, magari più capillari.

Per quanto riguarda le persone migranti LGBT invece nel territorio locale non se ne parla molto, e anche a livello nazionale se ne è parlato recentemente solo nella maniera più sbagliata possibile, quando esponenti della destra e programmi di infotainment hanno raccontato che molti migranti si spaccerebbero per gay nonostante non lo siano per ottenere più facilmente protezione internazionale. Inutile dire che ci sono commissioni che valutano ogni singolo dettaglio delle testimonianze raccontate, e che questa narrazione non tiene conto di una serie di complessità rilevanti: ad esempio è facile cancellare l’esistenza delle persone bisessuali dicendo che un uomo non può essere gay perché sta con una donna, e magari ha anche figli nel proprio Paese d’origine. Ma quello che conta è anche la percezione che quella persona ha presso la propria comunità di origine, e in definitiva la sua incolumità.

Una pagina che vi consiglio di seguire è Il Grande Colibrì, che invece dà voce alle varie sfaccettature delle questioni LGBT internazionali e migranti con cura e cognizione di causa.

Intervista a cura di Chiara Silvestri



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