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Maschile e femminile: sfatiamo i miti

Script della puntata del podcast Beyond Kryptonite - verso gli uomini e oltre!



E’ sempre bene informarsi nella vita, ci rende più liberi e più libere. Lo dico perché oggi, un uomo, non veste di rosa perché pensa sarebbe ‘una cosa da gay’. Tutto perché, a metà del 1900 comparve Barbie. Eppure, fino a un secolo prima (prima metà del 1800), il rosa era un colore da uomini.


SIGLAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!


Ciao, sono Alessia. Benvenuti, benvenute e benvenut* a ‘Beyond Kryptonite - verso gli uomini e oltre’, il podcast femminista che decostruisce gli stereotipi sul maschile esplorando nuovi modi di essere uomini senza il bisogno di essere super. Parleremo delle maschilità di cui non parla mai nessuno, capiremo perché il femminismo non è solo roba da donne e in che modo il patriarcato opprime anche gli uomini.

Questo piccolo cappello ci è servito per introdurvi con curiosità alla puntata “Maschile e femminile: sfatiamo i miti”, che abbiamo costruito per ricordarci che spesso le idee che ci formano sono forti quanto discutibili, e per questo percorsi da decostruire.

Torniamo alla storia del rosa e del blu. Il marketing decide che il rosa sarebbe stato associato solo ed esclusivamente all’universo ludico delle bambine. Ma come si è arrivati a questo?

Vediamo insieme la spiegazione storica fornita dal sito www.dejavuteam.com. Premesso che fino a metà ‘800 sia bambini che bambine venivano vestiti di bianco, perché era il colore più adatto ai lavaggi continui (che richiedono vestiti e pannolini dei bambin*) , dopo quella metà, le classi più alte cominciarono a vestire i/le bambin* con colori pastello, ma senza differenziare in base al sesso. Bambini e bambine potevano vestirsi sia di rosa sia di azzurro, e a vedere le fonti dell’epoca si direbbe che erano i maschi a essere vestiti più spesso di rosa e le femmine di blu. Questo forse perché il rosa, considerato variante del rosso, ne aveva preso i significati di forza, energia e coraggio legati all’ambito della guerra e quindi più adatto ai maschi (tenete a mente questo punto perchè più tardi lo riprenderemo), mentre il blu faceva riferimento al velo della vergine e quindi più delicato e femminile, ‘perfetto per le bambine’.

A metà dell’Ottocento allora, cosa succede? La ‘grande rinuncia maschile’, un momento passato con questo nome alla storia della moda, in cui inizia a consolidarsi la morale borghese dell’austerità dei costumi, connessa al mondo degli affari: gli uomini borghesi, per distinguersi dai ricchi, considerati pigri ed immorali, iniziano ad indossare abiti neri, grigi e blu, abbandonando anche l’uso dei gioielli maschili.

Inoltre, durante gli anni ‘30 del Novecento, compaiono le prime tinture chimiche resistenti ai continui lavaggi. Qualche anno prima il Times pubblica un grafico che mostra i dati di alcuni produttori di abbigliamento degli Stati Uniti, indicando che il rosa é il colore più acquistato per le bambine e il blu per i bambini. Il dato diviene una legge di marketing così importante da seguire che indirizzò gli acquisti proprio in questo senso. Per concludere il riferimento al quadro storico: durante gli anni Sessanta, quando arriva la bambola Barbie, riconferma a pieno tale scelta, rendendo il mondo delle bambine completamente rosa e, di conseguenza, blu quello maschile.

Dopo questa ricostruzione, mi aspetterei una grassa risata da parte vostra data l’assurdità della questione. Personalmente mi sento a disagio quando penso che un ragazzo o un uomo non usi indossare un colore – un colore che io adoro tra l’altro, ma non ve l’avevo detto per non avvalorare lo stereotipo – perché è considerato ‘femminile’. E non voglio neanche metterla sul piano ‘i colori sono un’invenzione della natura, quindi non hanno un genere preordinato, siamo stati noi a darglielo’. Anche perché dovrei concludere la cosa dicendo che – in linea di massima – tutti i colori sono prodotti a partire dai fiori e dalle piante, e che i fiorellini sono comunque associati all’universo femminile, E ALLORA VESTITEVI SOLO DI BIANCO. NO. La metterei più sul fatto che i colori sono un modo di esprimere un valore, o un ‘mood’. E, sentita LA storia del blu e del rosa, direi che sono passibili di essere un significante. Abbiamo visto, infatti, che in Occidente sono un indicatore di appartenenza ad una determinata classe sociale. Ma, allo stesso tempo, sono passibili di essere risignificati. Perciò vi chiedo: cosa volete esprimere indossando determinati colori? E non indossando i cosiddetti colori ‘femminili’, quale idea di voi volete evitare di far passare? A rafforzare l’assurdità nell’attribuire ad ogni genere un colore, ricordo che la Gazzetta dello Sport, un prodotto di consumo principalmente maschile,o la maglia rosa del Giro d’Italia, sono di colore rosa.

Faccio un’altra riflessione con voi sull’ennesima questione fatta a proposito dell’abbigliamento di Diletta Leotta (questione che a quanto apprendo dal web, i vari giornali e programmi tv le ripropongono in continuazione), la quale sarebbe stata accusata da alcune persone di vestire ‘troppo attillata’ per il suo lavoro (lei è una conduttrice televisiva). Mentre la guardavo in uno spezzone del suo programma, con indosso questo completo rosa favoloso, e di fianco a lei due uomini con dei serissimi completi evidentemente ispirati alla Grande Rinuncia maschile.. mi chiedevo: ma non è triste pensare di avere solo il blu o il nero come alternativa per essere fighi? E’ la Leotta, sono le donne (ma anche alcuni uomini) ad essere fuori luogo quando scelgono di indossare un vestito, o un colore come anche un accessorio piuttosto che un altro più uniformato, o ci sarà un’influenza sociale che direziona la scelta personale e ti fa percepire alcuni colori come non appropriati al tuo genere, in grado di ledere la tua mascolinità? Lascio a voi la risposta.

Personalmente ADORO i ragazzi in rosa, sanno di rivoluzione.



E visto che ci troviamo a sfatare, sfatiamoli tutti questi miti sulla moda! I tacchi: i tacchi sono nati come accessorio maschile, lo sapevate? No, ne sono sicura. Indossati dai cavalieri persiani per non cadere da cavallo. Finalmente quest’invenzione del diavolo acquista un minimo di senso logico.

Cosa succede allora alla fine del ‘500? Ci rifacciamo ad un articolo del Post. Lo scià persiano Abbas il Grande li tramuta in un accessorio di moda. Abbass, come dice il nome, non era propriamente altissimo.. Sto scherzando. Praticamente, questo scià disponeva della più grande cavalleria al mondo, e nel tentativo di consolidare i rapporti con altre potenze quali Russia, Germania e Spagna, diede inizio a una fascinazione involontaria da parte di queste potenze per gli oggetti e per la cultura persiana, come succede per ogni scambio culturale. I tacchi, come sa benissimo chiunque li abbia mai indossati almeno una volta nella vita, non sono utili a nulla, ancor più se pensiamo alla poca praticità del tipo di scarpa. E fu proprio questo il motivo della loro diffusione tra l’aristocrazia ( della serie ‘Non abbiamo bisogno di stare comodi, perché non ci spettano lavori pratici’). Il Re Sole fu uno dei più famosi indossatori di tacchi, addirittura limitandone l’uso tra i membri della propria aristocrazia emanando con una legge ad hoc. Perchè? Perchè l’altezza del tacco era sinonimo di status sociale: più alto era il tacco, più alta era la tua posizione nella società. Qualcuno dice addirittura che, per loro, potesse significare accorciare la distanza da Dio. In Italia abbiamo un esempio: a Venezia si diffusero le Chopine (tadà, è svelato anche l’oggetto magico dell’indovinello del post di presentazione della puntata che abbiamo condiviso alcune settimane fa), tra l’altro inguardabili, una cosa impraticabile, che non solo erano simbolo di alto status sociale, ma venivano utilizzate anche per non finire con i piedi nell’acqua (forse anche allora il livello dell’acqua si alzava, e purtroppo non avevano il Mose che li aiutava - battuta). Se gli uomini hanno smesso di indossare i tacchi, dunque, lo devono all’illuminismo, quando la razionalità e la praticità si diffusero. Torniamo in pratica al discorso di prima sulla Grande Rinuncia Maschile. Se non lo ricordate significa che vi siete distrattx. Invece, per quanto riguarda le donne, considerate esseri lussuriosi e non educabili, i tacchi restano fino ad oggi. Passiamo al prossimo mito da sfatare!


Questa è forte: lo sapevate che i maschi hanno le ghiandole lacrimali come tutti gli altri esseri umani? Sì! Ve lo giuro. Riescono a piangere se presi da una forte emozione, come depressione o felicità! Scientificamente il pianto è una risposta del corpo a una forte emozione o sensazione fisica; un’altra cosa ancora sono le ‘lacrime di reazione’ (quando sbucciamo la cipolla, per intenderci, non proviamo emozioni). Le lacrime prodotte durante un pianto conseguente a un’emozione negativa, contengono un quantitativo significativamente più alto di ormoni prolattina, ormoni adrenocorticotropo, leu-encefalina (un oppioide e potente anestetico), rispetto ad un pianto d’ilarità o di reazione, che il corpo espellerebbe per sentirsi meglio.


Piangere è da deboli in generale, ma socialmente è accettato per le donne, che sarebbero intrinsecamente deboli - e isteriche ovviamente - preda delle emozioni, mentre l’uomo sarebbe esclusivamente un essere razionale e d’azione. Questa distinzione si consolida nel 1800 in seguito alla strutturazione della dicotomia donna=privato e uomo=pubblico, all’alba della società capitalistica dei consumi e della produzione. Quello che è interessante è vedere come nella mitologia greca - della serie sfatiamo il mito con il mito- nell’Iliade e nell’Odissea, ma nell’epica in generale, il pianto degli eroi era segno di virilità (concetto che approfondiremo nelle prossime puntate), in quanto espressione delle passioni forti, tipiche - chiaramente - degli uomini. Non piangere, per un soldato caduto, era mancanza di rispetto. A nostro avviso, è interessante vedere come una serie di stereotipi che fanno parte della nostra cultura, facciano capo a una serie di credenze accumulatesi nel corso dei secoli. Questa curiosità è molto interessante, perchè ci fa riflettere sul fatto che il significato dato alle varie esperienze dell’essere umano possa cambiare di epoca in epoca, e per il fatto che siamo noi persone e sono le culture che in qualche modo modelliamo nei vari secoli, a risignificare le nostre vite.

Ma a noi non hanno spiegato il pianto in questo modo. A noi hanno detto, o fatto intendere, che il pianto è una risposta debole dell’individuo maschio ad una situazione, da risolvere possibilmente in un altro modo (da qui il mito del pianto sotto la doccia). E come non poteva essere un gesto vietato in una cultura patriarcale come la nostra? Perciò, i nostri uomini, per essere performanti e credibili, devono soffocare queste emozioni e lasciare che gli ormoni della tristezza continuino indisturbati a scorrazzare nel loro corpo.

Adesso vorrei riportarvi un rispettabile case study personale, perché credo di parlare non per tutte, ma per molte persone.

Sinceramente non sono abituata a vedere un uomo piangere. E ho scoperto che mi fa sentire profondamente a disagio. Una volta, un ragazzo pianse in mia presenza, e pensai che mi stesse prendendo in giro. Non perché ignorassi la storia delle ghiandole, la conoscevo. Ma mi sembrò quasi un avvenimento surreale, soprattutto da parte sua, che si mostrava molto convinto di sé, ostentava - si potrebbe dire - le sue capacità, i suoi successi nella vita. Lui era un uomo, insomma, secondo l’accezione più patriarcale che si potrebbe dare a questo concetto (ops, ho detto patriarcale? non volevo).

Il paradosso di questa storia è che questa reazione incredula l'ha vissuta una persona che adorerebbe legalizzare il ‘pianto maschio’, lo considererei un punto in più per la civiltà. E perciò mi suona assurdo che, quasi come una reazione preimpostata, io non abbia creduto fino in fondo alla sincerità di quelle lacrime. "Ma dai, proprio tu non puoi piangere", pensai. E su questo bisogna ragionare, secondo me. Sul dubbio che il sistema sociale in cui viviamo ci ha insinuato: ma questi maschi, piangono? Stanno male? Risposta: si, chiariamolo definitivamente, possono star male anche loro.

Chiediamoci da dove arriva la convinzione che sia strano, però. Ma che domanda banale. Ma dal sistema patriarcale! Mi dispiace, ma la messa al bando delle lacrime fa parte del piano in cui l'uomo è costretto ad indossare la maschera sociale del più forte, e perciò il patriarcato. Uno a cui è affidato il potere in una famiglia, in un'azienda, in un contesto sociale qualsiasi, può mai piangere? Uno che combatte le guerre può mai indossare un colore tenue? Può essere fragile? Può avere paura? Può indossare i tacchi? Se sta a cavallo,sì.

Uno che governa DEVE FARE paura. Non può averne, o dimostrare di averne.

Quando il femminismo si difende dai suoi detrattori, che accusano le femministe di voler, in realtà, solo sostituire l'uomo nel suo ruolo di decisore unico, oppure quando questi le accusano di odiare gli uomini, allora io rispondo: no. Il femminismo, precisamente il Femminismo intersezionale, punta a eliminare la gerarchia tracciata dal patriarcato, dove il più forte - l'uomo - è quello che decide per gli altri e le altre - per la donna, per i/le figl*, per i/le sottopostx, per le sue colleghe e via dicendo. Il divieto sociale del pianto maschile è una castrazione che fa parte del sistema. Per questo, mentre scrivo, non posso fare a meno di pensare ad un divulgatore e filosofo femminista molto bravo dei nostri tempi, e cioé Lorenzo Gasparrini, a tutte le interviste e ai libri che ha scritto sulla mascolinità tossica. Vi consiglio di leggere e ascoltare qualcosa. Oppure a il ._.Capasso, un amico divulgatore che dalla sua pagina instagram fa sensibilizzazione su femminismo, sessismo e autodeterminazione dei corpi.

Insomma, abituiamoci alla vulnerabilità negli uomini, e lo dico prima a me stessa. Abituiamoci a pensare che hanno dei sentimenti, che possono e devono piangere, NON reprimere. Legalizziamo i loro sentimenti, le loro emozioni. Un papá non deve avere vergogna di voler abbracciare i suoi figli: gli è permesso farlo, non è una cosa da madri o da femmine. Perciò il mio appello è: normalizziamo il pianto degli uomini!

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