La decisione di scrivere questo articolo nasce dall’insieme delle riflessioni scaturite da una mia esperienza lavorativa in una comunità protetta madre-bambino dove ho avuto la possibilità di confrontarmi con donne e minori vittime di violenza domestica e violenza domestica assistita e per dar voce al “lato opposto” di questi centri, nello specifico, quei centri che si occupano degli uomini violenti e maltrattanti sui quali ad oggi, ancora, non ci sono grandi quantità di informazioni e sono messi in secondo piano.
All’inizio, una volta che si entra nelle comunità protette per donne vittime di violenza, ti si presenta un contesto colmo di emozioni, speranze, sogni infranti e illusioni e non ci si focalizza subito sul futuro a livello professionale, ma si cerca di costruire un piano mentale da mettere in pratica per sopravvivere a tutto il circolo di sensazioni che scaturiscono. Le prime volte ha la meglio l’osservazione e l’ascolto attivo degli utenti. Ognuno ha la sua storia da raccontare, i propri progetti per il futuro, pregni di emozioni contrastanti tra loro.
Le comunità protette madre-bambino sono luoghi di protezione che accolgono donne con i propri figli e/o figlie vittime di maltrattamento e abuso che vivono in condizioni di disagio e vulnerabilità sociale.
Operator* e educator* qui hanno il compito di supportare la genitorialità, aiutare i nuclei familiari a rielaborare la loro storia familiare e personale, supportare e favorire la comprensione dell’evento, la protezione e la loro tutela. Per ogni nucleo viene elaborato un vero e proprio percorso personalizzato individuale che permette di ripercorrere e rileggere il susseguirsi degli eventi subiti, ma anche di elaborare un nuovo futuro. Infine, il percorso prevede anche un programma di reinserimento sociale e lavorativo e per quanto riguarda i minori scolastico ed educativo.
Nel complesso questi servizi offrono la possibilità di rifarsi una nuova vita e la possibilità di essere sostenute, protette e supportate a livello psichico, fisico, sociale ed economico, ma l’uomo?
Facendo anche ricerche generali troviamo una vastità di informazioni in merito agli interventi improntati sulla figura della donna maltrattata e i minori, ma possiamo dire la stessa cosa degli e per gli uomini maltrattanti? Madri e figli/e sono protett* e sostenut* nel loro percorso e supportat* psicologicamente per affrontare con altri occhi il loro futuro, ma quali trattamenti troviamo per l’altra parte?
La risposta si trova nei centri antiviolenza per uomini maltrattanti/autori di violenza.
La violenza non è solo un reato, dobbiamo comprendere che è insita nel contesto sociale e nei sistemi familiari. A volte si sente dire “ancora nel 2021 dobbiamo sentire di certi avvenimenti, ma in che società viviamo?” – forse in una società disinformata, che ancora trova giustificazioni a certi atti, senza andare oltre al senso comune.
Forse, le caratteristiche della società italiana d’oggi non permettono ancora di farli venire allo scoperto, se non a fatti accaduti o per apposite ricerche, ma vorrei sottolineare che è possibile anche per l’uomo richiedere assistenza e rivolgersi a personale specializzato per richiedere supporto e aiuto.
Ad oggi in Italia esistono centri e servizi per uomini autori di violenza, ma la loro frequentazione non è obbligatoria a meno che non sia previsto da un procedimento giudiziario.
I centri dedicati agli uomini autori di violenza sono uno strumento scarsamente utilizzato e non è facile nemmeno capire quanti ne esistano sul territorio italiano.
Gli unici dati disponibili risalgono ad un’elaborazione Istat del 2017 dove erano attivi meno di 70 punti su tutto il territorio nazionale. A livello politico la promozione e il finanziamento di questi centri scarseggia. Fatta eccezione per quelli convenzionati con enti statali, gli altri non ricevono né le dovute attenzioni né i dovuti finanziamenti economici che permettano a chi ci lavora di sostenersi. Eppure le buone intenzioni di questi centri ci sono, ma perché sono abbandonati a sé stessi? Il motivo della scarsa conoscenza e promozione è da ricercare nella cultura, nella visione dell’uomo nella società, nell’affronto al sistema patriarcale e nella visione “non aggiornata” della libertà femminile e forse del concetto di specie umana in generale. Tutto questo, ci si auspica, possa cambiare ed evolvere in poco tempo, il lavoro con gli uomini autori di violenza è essenziale, ma forse si potrebbe ridurre se partissimo dal basso creando un sistema educativo non violento e inclusivo di genere, non sporadico (solo a ridosso delle ricorrenze), ma obbligatorio.
Tirando le somme posso dire che dalla mia esperienza lavorativa ho compreso l’importanza del contrasto. La violenza è possibile contrastarla, ma forse servirebbe prenderne tutti coscienza senza vergogna. I mezzi esistono ed utilizzarli non influisce negativamente sulla propria personalità. I percorsi potranno essere spinosi, invadenti ed influire sul proprio ego fino a scombinarlo, ma affrontarli renderà l’individuo consapevole e ricco. Dal canto suo la società dovrebbe comprendere l’entità di questa potente arma e rivoluzionare il sistema a cui è con affetto legata. Lavorando in sinergia forse si potrebbero ottenere buoni risultati, ma tutt* dovremmo cooperare per poter raggiungere obiettivi di qualità.
Per un ulteriore approfondimento consiglio i seguenti articoli:
“Noi in prima linea per aiutare gli uomini che maltrattano le donne, ma la politica ci ha dimenticati” di Sabina Pignataro – LaRepubblica.it
“Violenza sulle donne, gli esperti del centro uomini maltrattanti: non solo panchine rosse” di Centro Prima Onlus – LaRepubblica.it
“ Centro di ascolto uomini maltrattanti - www.centrouominimaltrattanti.org”
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