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Ciao maschi. Men’s studies e mascolinità tossica

Script della prima puntata del podcast Beyond Kryptonite - verso gli uomini e oltre!

Gli studi sugli uomini e sul maschile, dall’inglese Men’s studies, si occupano di tante cose. Si occupano per esempio dei modelli di maschilità presenti nel cinema e nella letteratura, della paternità. della costruzione delle relazioni fra uomini e delle relazioni degli uomini con gli altri generi, delle pressioni sociali poste su di loro e così via. Ma prima di entrare nel vivo di tutto questo… SIGLA!

Ciao, sono Gennaro Ganymed, benvenuti, benvenute e benvenut* a Beyond Kryptonite – verso gli uomini e oltre, il podcast femminista che decostruisce gli stereotipi sul maschile esplorando nuovi modi di essere uomini senza il bisogno di essere super. Parleremo delle maschilità di cui non parla mai nessuno, capiremo perché il femminismo non è solo roba da donne e in che modo il patriarcato opprime anche gli uomini.

Dicevamo dei men’s studies. Fanno parte degli studi di genere, anche se ancora sono poco conosciuti. Infatti la loro diffusione è stata ostacolata da una parte da alcune femministe che temevano una sottrazione di spazi e quindi una nuova invisibilizzazione del sapere femminile (e a buon ragione dal momento che come vedremo nelle prossime puntate, non tutti i men’s studies sono femministi); ma dall’altra parte c’era una forte resistenza a riconoscere la necessità di un’indagine sul genere dominante e ad accettare che vi siano delle diversità all’interno della macrocategoria “UOMINI”. Quest’ultimo aspetto, su cui ci concentreremo in questa puntata, non a caso è strettamente connesso al concetto di privilegio e oppressione. Il privilegio, seguendo la definizione di Bob Pease in Undoing Privilege: Unearned Advantage in a Divided World indica l’insieme di vantaggi sistematicamente attribuiti dalla società ad alcuni individui in virtù della loro appartenenza ai gruppi sociali dominanti, sulla base di caratteristiche con cui si nasce, che quindi non sono scelte, come il sesso, il colore della pelle, l’orientamento sessuale, la condizione economica. Tali vantaggi e conseguenti benefici vanno a scapito di altri gruppi sociali che sono invece oppressi e quindi svantaggiati in partenza. Quello che si crea è cioè un sistema di diseguaglianze in cui non tutti devono fare lo stesso sforzo e spendere lo stesso tempo per arrivare agli stessi obiettivi; così come i costi della propria vulnerabilità non sono uguali per tutti e tutte. L’oppressione si trova nell’insieme delle istituzioni, delle leggi, dei discorsi, delle norme e non proviene quindi dai singoli individui. È per questo che molte persone, pur non prendendo attivamente parte all’oppressione, spesso senza neanche esserne coscienti, sono complici delle azioni quotidiane che rinforzano il proprio privilegio. Mettere in luce e denunciare i privilegi di alcuni gruppi, non ha lo scopo di colpevolizzare le persone appartenenti a quei gruppi, proprio perché i privilegi non sono scelti! Vedere e nominare i propri privilegi, però, permette di sviluppare un’etica e una politica di responsabilità e giustizia.

Infatti, soggetti e gruppi dominanti godono, in primis, del privilegio di essere considerati l’universale di riferimento e quindi di costituire la norma in base alla quale si costruiscono gli Altri come estranei, diversi e generalmente inferiori. Questo vale quando si parla di “Noi” e “Loro”, dove il Noi di volta in volta può significare “noi italiani”, “noi maschi”, “noi cristiani”, “noi benpensanti” e così via.

Il maschile, per esempio, è nella lingua, l’universale per eccellenza. Spesso si dice “Uomini “per intendere tutti gli “esseri umani”. L’universale maschile, nello specifico, però, non solo esclude il femminile, ma impoverisce anche la pluralità dell’esperienza maschile.

Ma dopo questa immersione improvvisa nei men’s studies, facciamo un passo indietro e cerchiamo di contestualizzare il nostro discorso all’interno del movimento femminista. La quarta ondata del femminismo che stiamo vivendo noi oggi cerca di interrogare e analizzare la costruzione dell’identità e la qualità della vita di tutte le persone oppresse dal patriarcato e, come vedremo insieme in questo podcast, tra queste persone ci sono anche gli uomini. In particolare, capiremo che cosa significa e che conseguenze ha la mascolinità tossica. È utile precisare sin da subito, però, che criticare e contrastare la mascolinità tossica non significa accusare tutti gli uomini o il genere maschile in quanto tale. Mascolinità tossica non è qualcosa che gli uomini sono, ma qualcosa che gli uomini fanno, la parte che recitano nel teatro del patriarcato.

Innanzitutto, il termine femminismo e il movimento femminista nascono per ridare dignità e valore al femminile. Ovviamente quindi riguarda in primo luogo le donne, ma non solo. Il femminile, e tutto quello che gli viene associato, è stato storicamente e culturalmente ritenuto inferiore e in virtù di ciò nascosto, vessato, giudicato, maltrattato, umiliato, deriso o cancellato. Al contrario il maschile, anzi, un certo maschile, è stato esaltato e ritenuto superiore.

È per questo che se a una donna vengono associate caratteristiche ritenute maschili, come forza, coraggio, determinazione, si parla di “una donna straordinaria”. Se a un uomo vengono associate caratteristiche considerate femminili, come empatia, emotività, sensibilità, egli verrà giudicato ridicolo o disonorevole. Questo processo viene chiamato doppio standard, cioè un’asimmetria nella valutazione. Ma facciamo un esempio pratico. L’uomo non può abbassarsi a svolgere attività femminili, come per esempio i lavori di cura, altrimenti la sua mascolinità viene messa in dubbio. Anzi, può farlo ma solo a patto che l’attività venga elevata ad una professione da svolgere nell’area pubblica: un uomo è uno chef o uno stilista, o almeno un sarto rinomato. Le stesse attività quando sono le donne a compierle, sono considerate invece insignificanti, facili o futili, e generalmente ricondotte alla sfera privata.

Un altro esempio ancora più pratico? un padre che chiede il congedo parentale è trattato o come un eroe o come un mezzo uomo che fa il mammo al posto della moglie. Vedete l’asimmetria?

E così…. Se ti fai offrire la cena sei meno uomo, se non guidi tu sei meno uomo, se non sai fare il barbecue sei meno uomo, se lasci a una donna fare il barbecue sei meno uomo, se guardi film romantici sei meno uomo, se non giochi a calcio sei meno uomo, se è la donna a guadagnare di più sei un mezzo uomo, se è lei a provarci ma che uomo sei? Se lei alza la voce più di te sei un pover’uomo, se lei prende una decisione chi è l’uomo? Se sei ancora vergine non sei abbastanza uomo, tu e lei solo amici? Un uomo non rifiuta mai il sesso, dai su non fare la femminuccia, e quelli li chiami muscoli? caccia gli attributi su! truccarsi è da checche! comportati da uomo per una buona volta! sei un uomo fallito! sii uomo! i veri uomini non piangono mai! chi fa il maschio tra i due?




Ecco. Il senso del discorso sta proprio nel FARE il maschio. Per essere uomini bisogna fare i maschi alfa, essere dei machi. Tutto questo provoca un’alienazione dell’uomo prima di tutto dal suo corpo attraverso i canoni di prestanza e forza fisica; poi dalla sua emotività tramite una sessualità predatoria vissuta come prestazione e dominazione; e infine addirittura aliena da uno stile di vita che non comprenda il successo economico e che non deleghi il lavoro di cura.

Mascolinità tossica è dunque individuare e nominare quell’insieme di comportamenti, linguaggi e simboli dannosi per sé e per gli altri. Quei comportamenti appresi per imitazione sin dalla nascita tramite educazione e socializzazione, che in questo modo vengono poi normalizzati e legittimati. Il risultato è di considerare naturali e giusti i comportamenti tossici della mascolinità: “sono uomini, sono fatti così”. Imporre questo tipo di mascolinità agli uomini significa soffocarli, impedire loro di accettare la propria vulnerabilità umana e condannarli tutti a un’immagine unica e limitante del proprio corpo e del proprio genere.

Ma oltre questi imperativi esiste un mondo, nonostante venga fatto credere agli uomini che non faccia per loro. Questo sistema patriarcale finisce quindi per premiare misoginia e omofobia, cultura dello stupro, esaltazione della violenza imprigionando gli uomini in canoni prestabiliti impossibili da raggiungere: l’uomo deve essere l’eroe forte che ce la fa da solo e non ha bisogno di nessuno. Vi ricordate la copertina del fumetto di cui vi ho parlato nel trailer?

Ma, arrivati a questo punto, è doveroso fare una distinzione tra maschilità e mascolinità. Perché mentre la prima è neutra e indica l’appartenenza a un genere e la partecipazione in quel gruppo sociale “mi sento un uomo e mi identifico con il genere maschile”; la seconda, quindi la mascolinità, comunica una qualificazione, generalmente in termini di eccesso, a un insieme di caratteri e comportamenti socialmente connotati “mi comporto da uomo, faccio il maschio e faccio cose da maschi”.

Il concetto di maschilità ci permette a sua volta di introdurre quello di gerarchia tra le maschilità, formulato dalla sociologa trans R.W. Connell. Se ci sono diversi modi di essere maschi, allora non tutti gli uomini beneficiano allo stesso modo del patriarcato e tra le varie maschilità si instaurano dei rapporti di dominio, alleanza o complicità. Per “modi di essere maschi” non si intende tipi di identità fissi, piuttosto un insieme di pratiche, comportamenti, convinzioni, idee. Allo stesso tempo, però, l’intersezione di sesso, genere, classe, razza, lingua, corpo, cittadinanza produce un posizionamento differente all’interno del privilegio di genere maschile. Cioè: essere un uomo bianco è diverso dall’essere un uomo nero; essere un uomo etero è diverso da essere un uomo gay che è diverso da essere un uomo nero gay che è ancora diverso dall’essere anche povero, grasso, richiedente asilo o di religione musulmana. È per questo che quello di cui stiamo parlando è il femminismo intersezionale.

Immaginiamo allora una piramide. Al vertice troveremo la maschilità egemonica. Questa maschilità, pur non essendo numericamente la più diffusa, costituisce l’ideale a cui aspirare e incarna il modello patriarcale di privilegio maschile. Essa non è quindi la maschilità normale, ma è la maschilità normativa e cioè incarna il modello di mascolinità responsabile della disparità tra i generi e all’interno dei generi. Un esponente modello della maschilità egemonica del nostro secolo sarebbe un uomo bianco, occidentale, abile, benestante, cisgender, eterosessuale e magro. Per capirci, è l’uomo che storicamente ha avuto più influenza politica e più possibilità di affermazione. La maschilità egemonica si manifesta ed esercita il suo privilegio attraverso la mascolinità tossica di cui abbiamo parlato prima.

Subito sotto, nella piramide, abbiamo la maschilità complice. Essa descrive gli uomini che beneficiano della maschilità egemonica, pur non mettendola in pratica e pur non incarnandone tutte le caratteristiche. Non mettendo in discussione il sistema di oppressione patriarcale cioè, scelgono di trarre vantaggio dalla discriminazione delle donne e delle altre categorie oppresse, tra cui le altre maschilità. Gli uomini appartenenti a questa categoria sono disposti a fare delle eccezioni, e quindi ad accettare e non discriminare soggettività diverse, solo nelle proprie relazioni intime, cioè verso mogli, figlie, parenti, sorelle, amici stretti senza però riconoscere le stesse libertà e opportunità ai gruppi sociali a cui queste persone appartengono. Per capirci, le frasi “ho tanti amici gay, ma…” e “mia figlia può vestirsi come vuole, ma le ragazze di oggi sono troppo spudorate” rientrano in questa casistica.

La maschilità marginalizzata descrive poi quegli uomini ai margini per caratteristiche altre rispetto al genere, come classe, razza, disabilità. La maschilità marginalizzata pur essendo inferiore rispetto a quella egemonica, ne riconosce il valore normativo, ottenendo in cambio legittimazione e riconoscimento. Ad esempio, spesso alcuni atleti neri vengono proposti come esempi di resistenza e forza fisica; ma allo stesso tempo l’uomo nero continua a non avere un pieno riconoscimento paritario nella società e ad essere vittima di violenze sistemiche.

Alla base della piramide, infine, abbiamo le maschilità subordinate, ovvero quelle a cui non viene riconosciuta la mascolinità, i “non-uomini”. Essa si delinea sugli assi del sesso, del genere e dell’orientamento sessuale. Oltre alle donne quindi, questa categoria include anche gli uomini trans (ovvero le persone FtM) e gli uomini non-eterosessuali (in particolare gli uomini gay).

La maschilità egemonica, abbiamo detto, è al vertice della piramide, ma, attenzione, essendo continuamente sotto attacco dall’esistenza di maschilità dissidenti, è anche intrinsecamente insicura e instabile. La sua lotta per la conservazione si basa sulla costruzione di un dentro e un fuori, tramite due principali meccanismi di confinamento: misoginia e omofobia. La misoginia è rivolta al genere femminile, l’omofobia alle maschilità non conformi. In Masculinity as Homophobia: Fear, Shame, and Silence in the Construction of Gender Identity, l’autore Kimmel definisce così l’omofobia: “Omofobia è un principio organizzativo centrale nella nostra definizione culturale di virilità. È più della paura irrazionale degli uomini gay, e anche più della paura di essere percepiti come tali. Omofobia è la paura che gli altri uomini ci smascherino, evirino e rivelino a noi e al mondo che non siamo all’altezza, che non siamo veri uomini”.

Ma abbiamo anche detto un’altra cosa importante: gli uomini che incarnano la maschilità egemonica sono pochi, nonostante essa costituisca l’ideale a cui aspirare. Ciò crea un continuo conflitto tra l’esperienza vissuta della maggior parte degli uomini e l’ideale di Sé interiorizzato, in quanto uomini, da dover rispettare. Questo ideale, però, è pressoché irraggiungibile o comunque non conquistabile in modo stabile, può essere incarnato solo in qualche situazione, per qualche tempo. Il sentimento frequente e diffuso del non essersi sentiti “abbastanza uomini” deriva proprio da questo conflitto, che a sua volta genera una perenne ansia da prestazione. Spesso si cerca di rispondere e governare questa ansia attraverso aggressività, prevaricazione, dominio, autorità o violenza. Purtroppo in questo comprensibilissimo meccanismo c’è molto poco di naturale e molto di culturale. La tensione interna che molti uomini avvertono non è che l’interiorizzazione del modello di società, cultura e politica di cui abbiamo parlato finora, un modello che cerca di schiacciare tanti per far emergere e far star bene pochi.

Non esiste un solo modo di essere uomini e ognuno di noi deve prendersi la libertà di esprimere la propria maschilità come meglio crede, e soprattutto, nel modo che più gli aggrada, a partire anche dalle piccole cose. Nel prossimo episodio ne sentiremo alcune!

Inserisco un disclaimer qui alla fine, perché ci piace sempre sovvertire l’ordine delle cose. Quella appena presentata è un’introduzione ai men’s studies, non rappresenta l’unica elaborazione teorica e soprattutto non risponde ad alcune domande importanti come per esempio “cos’è che, pur nella sua pluralità, accomuna l’esperienza che qui abbiamo definito maschile? I gay effeminati, gli uomini trans, le persone intersex, i maschi non-penetrativi così come le lesbiche butch o le donne mascoline che tipo di mascolinità performano? Se il tratto comune dei maschi, omo ed etero, è l’avere un pene, il dominio simbolico del fallo ha su di loro lo stesso impatto?”. A completare, o forse complicare, il quadro ci pensano le teorie queer, ma di questo, magari, ne parliamo un’altra volta.


Prima di salutarvi e invitarvi al prossimo episodio, vi lascio alcuni consigli Criptoniani: il libro “Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni” del filosofo Lorenzo Gasparrini, di cui trovate un’intervista curata da me per Beyond what they sell sul nostro sito; lo spazio per tutti gli uomini stanchi della virilità machista su Instagram dal titolo “Mica Macho”; il profilo Instagram di Matteo Botto, founder di Contronarrazioni; e la rete associativa di Maschile Plurale.

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Hai appena ascoltato Beyond Kryptonite – verso gli uomini e oltre, il podcast del progetto di attivismo Beyond What they sell – oltre ciò che ci vendono. Se ti è piaciuta questa puntata faccelo sapere con un like o un commento e per tutti gli aggiornamenti sulle nostre attività seguici su Instagram e Facebook! Se vuoi sostenerci, offrici un caffè su Ko-Fi!



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