(english text below)
Vi ricordate quando quest’estate vi abbiamo parlato delle statue buttate giuste durante le proteste anti-razziste e la ridefinizione dello spazio urbano per essere più inclusivo?
Non sembrava un post molto femminista, ma vi spiegavamo che il nostro è un femminismo intersezionale, che cioè vede come interconnesse differenti forme di discriminazione: di genere, legate all’identità sessuale, alla disabilità, al corpo, all’etnia.
Per ribadire questo concetto, cercherò di analizzare un esempio ancora più lampante, passando da uno spazio urbano ad uno digitale.
In questi giorni, la piattaforma Disney+ ha aggiunto un avviso ad alcuni dei suoi film più vecchi che informa l’utente di contenuti razzisti. “Questo programma include rappresentazioni negative e/o maltrattamento di persone e culture” e “invece di eliminare questo contenuto vogliamo riconoscerne l’impatto deleterio, imparare da esso e promuovere la discussione per creare insieme un futuro più inclusivo”.
Anche prima un messaggio simile veniva incluso, ma era visibile solo nella pagina dedicata alle informazioni sul film. Ora, appare prima del suo inizio e dura 12 secondi, così che tutti possano leggerlo.
Certo, sembra un po’ riduttivo, è facile da implementare e non fornisce una critica costruttiva sull’argomento. Potrebbe essere anche solo una strategia di marketing.
Tuttavia, un semplice avviso è in realtà un passo avanti molto importante. Invece di rimuovere il contenuto (potremmo dire, abbatterlo) Disney decide di ammettere e comunicare in modo chiaro a tutti che alcuni dei suoi film sono razzisti, e che c’è bisogno di uno sforzo collettivo per affrontare e superare il razzismo.
Il messaggio viene ad assumere lo stesso significato del bollino rosso inserito nei film consigliati ai soli adulti: è preventivo, visibile a tutti, e avvisa della presenza di contenuti forti.
Alcuni dei film che includono questo avviso sono Dumbo, Il Libro della Giungla, Gli Aristogatti, Fantasia, Peter Pan.
Proprio Peter Pan ci fornisce un esempio di “intersezione di discriminazioni”.
Il film propone una visione fortemente stereotipata dei nativi americani dai quali i Bimbi Sperduti vengono accolti dopo che Peter Pan mette in salvo Giglio Tigrato. Vengono chiamati “pelle rossa”, parlano un inglese maccheronico e i loro usi appaiono come marcatamente retrogradi.
A un certo punto, durante un ballo collettivo (anche quello fortemente stereotipato) una donna della tribù, intima a Wendy, che sta per unirsi alla danza: “squaw deve non ballare, squaw deve legna procurare!” (rimarcando un inglese rozzo e primitivo).
Personalmente, penso di aver sentito per la prima volta il termine squaw in questo film, senza farmi troppe domande sul suo significato. Percepivo solo che significava “ragazza”, “bambina”.
In realtà, squaw è percepito come un insulto dalle comunità native, tanto che nel 2001 lo stato dell’Oregon ha approvato una legge che ha modificato diversi toponimi che contenevano questa parola.
La sua origine non è chiara, ma sembra essere l’appropriazione di un termine algonchiano da parte dei conquistatori francesi e inglesi, che ha assunto nella narrazione di questi ultimi (e, quindi, nella percezione comune) un significato dispregiativo. Identifica la donna povera, sottomessa – al colono – che lavora per mantenere la famiglia, una prostituta – perché secondo alcuni il termine in origine indicava anche l’organo sessuale femminile – una schiava, ma anche un essere violento, selvaggio, sporco.
Questo termine è un esempio di come la discriminazione razziale sia strettamente connessa alla sottomissione della donna. Come ogni “conquistatore”, i Non-Nativi si sono assicurati di minimizzare, distorcere ed eliminare la cultura dei popoli oppressi. Ciò implica rappresentare le loro donne come impure, inferiori, degne di considerazione solo come oggetto sessuale. Il concetto di squaw, infatti, “esisteva ed esiste solo nella testa dei Non-Nativi”.[1]
In altre parole, i coloni si sono appropriati di una parola dei Nativi con un significato più o meno neutro e le hanno attribuito uno stereotipo che si è poi imposto nell’uso comune.
La narrativa dei “conquistatori” si è spinta fino a commercializzare l’immagine della squaw – e dei nativi in generale – come inferiori e selvagge, usandola per prodotti di massa e come esempio di appropriazione culturale.
Ecco un altro tema di cui si parla poco, l’appropriazione culturale. Questa si riferisce all’appropriazione di proprietà intellettuale, conoscenza tradizionale, espressi culturali o artefatti di una cultura senza il sui permesso. Ad esempio, la danza, la musica, il linguaggio, persino il cibo e gli abiti. Un esempio ne è travestirsi da “geisha” (o da squaw) per Carnevale o Halloween. Usando la squaw come un costume si rinnega il significato negativo, dispregiativo di questa figura.
Ecco, per me l’avviso di Disney è un piccolo passo per iniziare a riconoscere il fenomeno della discriminazione e della appropriazione culturale come un “contenuto offensivo”, non più come un gioco di bambini.
Marianna Fatti
Fonti:
- “Disney updates content warning for racism in classic films”, BBC News, 16 ottobre 2020
- Merskin, D. (2010). The s-word: discourse, stereotypes, and the American Indian woman. The Howard Journal of Communications, 21(4), 345-366.
- Bacigal, L. (2020). “Squ*w: Colonization and Appropriation of Indigenous Women’s Bodies”. Indigenous Climate Action
- “Disney+ mostrerà un avviso prima di vecchi film con contenuti considerati razzisti, tra cui ‘Peter Pan’, ‘Dumbo’ e ‘Gli Aristogatti’ ”. Il Post, 16 ottobre 2020
- “Cultural appropriation”, da “Who Owns Culture? Appropriation and Authenticity in American Law” Scafidi, S. (2005), in NCCJ Bullettin.
[1] Sanders & Peek, 1973, p. 184, in - Merskin, D. (2010). The s-word: discourse, stereotypes, and the American Indian woman. The Howard Journal of Communications, 21(4), 345-366
Disney+, Tiger Lily and Feminism
Remember this summer when we wrote about statues torn down during BLM protest and the revaluation of inclusivity in urban spaces ?
Doesn’t sound like a feminist post? Well, we did clarify that our feminism is intersectional. Whereby different forms of discrimination are intertwined within a person’s identity: race, gender, sexual orientation, disability, body shape, ethnicity.
To further explain this idea, let me give you an example, switching from urban spaces to digital ones.
Few days ago, Disney+ added a content advisory notice to some of its most “classic” films warning of racist content. "This programme includes negative depictions and/or mistreatment of people or cultures," and “we want to acknowledge its harmful impact, learn from it and spark conversation to create a more inclusive future together".
The platform had already included a warning notice like this one, it was in the information section of a film. Now, the warning appears just before the beginning of a movie and it lasts for 12 seconds.
You may say this is something trivial, easy to implement and not providing a constructive discussion on the topic. It might be a mere marketing strategy.
A content advisory notice is actually an important message: rather than removing the “problematic” content (“destroying it”) Disney chooses to publicly acknowledge and warn everyone that some of its films are racist, and that we as a collective must address the issue and finally overcome it.
This notice has the same visibility as a Parental Advisory label: it’s preventive, visible to everyone, and highlighting the presence of “problematic” content.
Some of the Disney+ movies that will include the notice are: Dumbo, The Jungle Book, the Aristocats, Fantasia, and Peter Pan.
The latter, Peter Pan, actually is a prime example of “intersection of discriminations”
The movie displays a stereotyped representation of Native Americans, who welcome the Lost Boys after Peter Pan saves Tiger Lily. They’re referred to as “redskins”, they speak a broken English and their customs and habits appear markedly backward.
At a certain point, during a collective dance (also heavily stereotyped) a woman of the tribe warns Wendy, who tries to join the dance, that “squaw no dance, squaw gets some firewood!” (stressing once again uncouth English).
I think I learned the word squaw with this movie, not questioning its meaning that much. I assumed it meant something like “girl”.
Actually, squaw is considered an insult by Native American communities. Oregon even passed a law in 2001 to change the name of several locations that included that word.
Its origin is not clear, it was reportedly the appropriation of an Algonquian word by English and French settlers that assumed a derogatory meaning in their narrative – and therefore in our common use. It has had a wide range of negative meanings: a poor woman, subdued to the settler, a child bearer that has to work to support her family, a prostitute (according to some scholars the word squaw originally referred to the female reproductive organ), a slave - but also a violent, wild, dirty being.
This word is an example of how racial discrimination is intertwined with gender discrimination. As every “conqueror” does, they made sure to downplay, distort, and wipe out the culture of the “conquered”. This implies a framing of Native as impure, inferior, worthy only of sexual objectification. The concept of squaw actually “existed and exists only in the mind of the non-Native American”.[1]
In other words, settlers took a native term with a more or less neutral meaning and built a whole stereotype out of it that was then handed down to us.
Non-native narratives went even further, marketing the representation of squaws – and Natives in general – as inferior and wild, using it as an icon for consumer products or to enhance cultural appropriation.
This is actually another topic we should address: cultural appropriation refers to appropriation of a culture’s intellectual property, traditional knowledge, cultural expression or artifacts without its community’s consent; dance, music, language, even food and clothes. For example, dressing up as a geisha (or as a squaw) for Halloween or Carnival. Using the squaw representation as a party costume denies and mocks the oppressive message it bears.
To me Disney’s advisory notice is a first step in acknowledging the issue of cultural discrimination and appropriation, without downplaying it as kid’s play.
Thanks to Laura McNeil for her support in the translation
Sources:
- “Disney updates content warning for racism in classic films”, BBC News, 16 ottobre 2020
- Merskin, D. (2010). The s-word: discourse, stereotypes, and the American Indian woman. The Howard Journal of Communications, 21(4), 345-366.
- Bacigal, L. (2020). “Squ*w: Colonization and Appropriation of Indigenous Women’s Bodies”. Indigenous Climate Action
- “Disney+ mostrerà un avviso prima di vecchi film con contenuti considerati razzisti, tra cui ‘Peter Pan’, ‘Dumbo’ e ‘Gli Aristogatti’ ”. Il Post, 16 ottobre 2020
- “Cultural appropriation”, da “Who Owns Culture? Appropriation and Authenticity in American Law” Scafidi, S. (2005), in NCCJ Bullettin.
[1] Sanders & Peek, 1973, p. 184, in - Merskin, D. (2010). The s-word: discourse, stereotypes, and the American Indian woman. The Howard Journal of Communications, 21(4), 345-366
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